Bio: allentare la burocrazia per sprigionare lo sviluppo. Anche in Campania

di Mario Grasso

L’agricoltura biologica è un settore che sta conoscendo una lunga stagione positiva. I suoi trend sono in crescita da oltre dieci anni. E i dati lo dimostrano, perché sono da record, specie se rapportati ad altri comparti dell’economia.

Mario Grasso, direttore Cia Campania

Mario Grasso, direttore Cia Campania

Sono numeri che fanno dell’Italia il maggior esportatore al mondo di prodotti di agricoltura biologica. Un mercato che per la nostra economia vale 2,46 miliardi di euro, a cui va aggiunto il peso dell’export di settore (1,42 miliardi). Nel 2014 siamo a rotondo + 11%, a fronte di un consumo da prodotto agroalimentare che flette dello 0,2%. Ancora: nel 2015 11 ettari su cento sono adibiti alla produzione di settore. Nello stesso anno si registra un’altra impennata: il consumo dei prodotti bio si incrementa del 19%. In Italia le imprese inserite nel sistema di certificazione per l’agricoltura biologica sono 55.433 al 2014. In aumento rispetto all’anno precedente del 5,8%. Anche al superficie coltivata secondo il metodo biologico risulta in aumento alla medesima percentuale.

SI PUÒ FARE DI PIÙ
E la Campania? La regione enumera decine di prodotti tipici e a giusto motivo può essere considerata la vera fattoria dell’agroalimentare nazionale. Ma i dati dicono che, contrariamente a quanto ci si aspetterebbe, non eccelliamo nel biologico. La Sicilia ci supera quanto a numero di operatori (9.660). E il podio è completato da altri territori del Mezzogiorno. La Calabria è in seconda posizione (8.787), la Puglia segue in terza (6.599). Tutt’e tre queste regioni raggruppano il 45% del totale coltivatori. In Campania gli operatori, che coltivano 20.548 ettari in totale, sono 2016. In aumento sì, ma troppo contenuto: tra 2013 e 2014, appena il 4,8% in più (In Calabria: + 22,6%). Sicilia, Puglia e Calabria ci superano anche in superficie coltivata: insieme totalizzano il 48% della superficie nazionale. Altro parametro? L’incidenza percentuale delle superfici biologiche sul totale coltivato: la Calabria è a circa il 30%, seguita da Sicilia (22%) e Lazio (19%).

Che cosa ci dicono questi numeri? Evidenziano che i margini di crescita del biologico in Campania sono ragguardevoli sotto ogni profilo. E’ interessante, viceversa, chiedersi che cosa incide su una crescita che non è in linea con altre regioni italiane e del Mezzogiorno. Certo non è in linea con il clima di fiducia che mostra un sentiment del settore biologico complessivamente migliore di quello complessivo, secondo quanto emerge da un’analisi Ismea del 2014 sulla situazione corrente degli affari e le attese degli operatori.

PUNTI DI FORZA
Il settore dell’agro bio ha i suoi punti di forza in un mercato in costante crescita e in produttori e coltivazioni in aumento. Lo aiuta la continua crescita della domanda interna nonostante la lunga crisi economica e finanziaria ancora in corso. Si avvale di un significativo aumento anche delle esportazioni oltre che nelle diverse catene della Gdo. Ma osserva anche una serie di criticità che andrebbero affrontate con decisone. La principale delle quali è sicuramente un eccesso di burocrazia che avvilisce i produttori, scoraggiati da una eccessiva complessità del sistema che impone pesanti oneri amministrativi e finanziari a carico degli operatori: si va dal sistema di controllo e certificazioni, alla applicazione delle deroghe, all’accesso ai contributi. A questo si uniscono altri fattori critici, come la difficoltà di accesso al mercato, la scarsa superficie agricolo utilizzata, l’approccio di filiera poco diffuso.

Lo sviluppo dell’economia rurale, in particolare nel biologico, ha bisogno di un forte supporto strategico più che di finanziamenti a pioggia. Può dispiegare le sue potenzialità superando la logica dei micro interventi, e cioè dando la preminenza alle politiche di filiera e ai progetti collettivi. Serve, prima di tutto, abbattere la burocrazia e ridurre al minimo la documentazione richiesta alle imprese agricole.

La Carta d’identità digitale aziendale, concepita per tracciare on line il profilo e l’attività dell’azienda – una delle sette lanciate dalla Cia circa il Piano di sviluppo rurale 2014-2020 – assume quindi valore particolare in relazione al possibile impulso da attribuire al settore bio.

Il trattamento informatizzato dell’intera documentazione oggi richiesta, riversato su piattaforme tecnologiche gestite dalla Pubblica amministrazione, potrebbe essere una chiave di volta per liberare il settore dal peso soffocante e avvilente dei troppi adempimenti.

Meno carte, insomma, e più controlli in campo: così si stimola il settore. Ancora una volta, meno burocrazia vuol dire più sviluppo.